Pubblicato il: 11.07.2005
Formato: cm 14x19
Pagine: 88
Note: Allegato DVD Stendalì -Suonano ancora - con commento di Pier Paolo Pasolini
ISBN: 9788890180507
Collana: Fotogrammi 01
Stendalì
Canti e immagini della morte nella Grecìa Salentina
Autore: Mirko Grasso
Regista: Cecilia Mangini
Introduzione di: Goffredo Fofi
Collana: Fotogrammi
«Un bel sasso, lucente e duro» viene definito, nel 1960, il film Stendalì di Cecilia Mangini. Stendalì, nel dialetto della Grecìa salentina “suonano ancora”, ritrae un lamento funebre contadino, rendendo su pellicola l’istituto del pianto rituale che affonda radici e origini antichissime ed è sopravissuto nel Salento sino ai primi anni sessanta del secolo appena trascorso. Secondo la tradizione classica, già attestata in Omero ed Euripide, è necessario favorire la partenza dell’anima del morto nell’aldilà con canti rituali e lamentazioni che ripropongono i maggiori meriti del defunto, ne narrano la vita, ne piangono il distacco e la partenza dai famigliari. L’onore del pianto da tributare al defunto, come scrive Foscolo a proposito della morte di Ettore, costituisce un momento aggregante in una società arcaica che trova il senso della propria esistenza e la voglia di lasciare propria memoria anche in situazioni tragiche come la morte. Le lamentazioni, moroloia, spesso ripropongono strazianti dialoghi tra il morto e il parente più stretto che rimane sulla terra, tra chi perde un figlio e la morte stessa e costituiscono, nel vasto panorama della cultura popolare, momenti di vera e propria poesia. Le diverse tipologie delle lamentazioni sono tutte accompagnate da una meticolosa ed accurata gestualità. Le rèpute o prefiche, donne che eseguono le lamentazioni, articolano il canto e ne strutturavano la tensione interna con particolari movimenti del corpo, del capo, delle mani che svolazzano, secondo particolari cadenze, fazzoletti bianchi. Stendalì, che nasce immediatamente dopo Morte e pianto rituale di Ernesto de Martino, racchiude tutto ciò e tramite un coinvolgente e straordinario uso delle tecniche cinematografiche inchioda lo spettatore che rimane affascinato da questo prodotto cinematografico. Il testo delle lamentazioni salentine, cantato dalle donne di Stendalì e interpretato nel filmato dall’attrice Lilla Brignone, viene tradotto da Pier Paolo Pasolini che coglie e mette in evidenza la struttura “a piramide” dei canti di morte. Nel canto di Pasolini, infatti, è presente una tensione che sale gradualmente e che si sposa perfettamente con un montaggio serrato delle immagini. Pasolini metabolizza, in una personale opera di riscrittura del materiale, quel sentimento autenticamente popolare e umano che traspare dai volti dei protagonisti del filmato. La ripubblicazione in dvd del documentario di Cecilia Mangini viene accompagnata da una nostra ricerca che propone: la ricostruzione del lievito culturale che ha fatto nascere questo genere di opere cinematografiche, un’analisi del contenuto specifico di Stendalì, il legame filiale con l’opera di Ernesto de Martino, una interessante e corposa intervista alla regista. Il nostro saggio si avvale di una panoramica sui registi demartiniani: pagine queste di Gianluca Sciannameo. In meno di quindici minuti il sasso lucente e duro diviene, oggi, un vero pugno nello stomaco: inchioda lo spettatore allo schermo, traccia un sentiero nel recupero della memoria collettiva. Alla visione di questo piccolo capolavoro, una vera e propria «opera di poesia realistica» come scrive Pietro Pintus, numerose sollecitazioni tornano alla mente. Grazie a Stendalì, e questa operazione culturale è un ringraziamento più ampio a Cecilia Mangini, è possibile ripercorrere un sentiero della memoria che appariva, prima di questa sua riproposta, vicolo cieco, relegato alla memoria di pochi ultimi.